Sabotaggio reciproco (primo tentativo)
Dopo un secco ordine di Ciel, che non aveva affatto intenzione di rovinarsi i vestitini nuovi, Sebastian si accorse di essere un maggiordomo demoniaco e che a due passi c’era un estintore che balzando poteva raggiungere facilmente.
Saltò con eleganza in mezzo ad «Ave Maria!» (erano nel bel mezzo di una preghiera) di estrema approvazione e ammirazione, prese con le sottili dita l’estintore e lo usò contro le fiamme, mentre Bard piangeva e tossiva, forse preso dal rimorso, forse assorbito da una triste crisi di esistenza.
Elizabeth scese con un balzo dal tavolo e adornò l’estintore in due secondi di un fiocco rosa brillante alto quanto Sebastian e largo quanto il Maggiore (altro personaggio di Hellsing) e ridacchiò con la sua strana vocina canticchiando la terribile canzone “Kawai”.
«Bard» esclamò, serio Sebastian, quando l’incendio fu completamente spento «Il tuo comportamento è stato riprovevole! Tutti vi comportate come se foste una massa di Plu Plu! Volevo dire» si corresse «di temibili Makenna! Ciò non si addice alla servitù dei Phantomhive, e rischi di essere licenziato se continui così, per tanto non riceverai sostentamento e rimarrai nella terra di nessuno, per sempre costretto a camminare nella linea di mezzo …» indicò con il dito lungo e sottile, mentre cameriera e giardiniere trattenevano il respiro, il confine lucente dei Kuroshitsujiani che separava la loro parte di casa, di loro appartenenza per un tacito accordo, da quella oscura degli Hellsing «… Tuttavia non riesco a comprendere cosa vi manchi» si portò una mano sotto il mento e chiuse gli occhi con aria pensosa «Ricevete cibo a volontà, interagite come dovrebbero fare gli esseri umani, bevete, dormite, potete svagarvi come più vi piace … cosa vi manca ancora?»
I tre si guardarono negli occhi.
Tutti sapevano cosa gli mancava
“Fame! Fame tremenda! Si avventò sul piatto tentando di sottrarlo a colui che se lo sbafava, ma venne violentemente respinto”
“«Sapete» fece Meirin «A volte mi manca la compagnia di altri. Non entra mai nessuno qui!».
Gli altri annuirono, con aria grave
«Siamo solo noi tre normali, poi c’è Sebastian-san, il Bocchan e di tanto in tanto la sua fidanzatina. Madame Red è morta (non che la volessi tra i piedi, se permettete)e ogni tanto arriva quel coso, là, Grell. Sebastian-san è terrorizzato da quello sconcio. Ah, sto impazzendo!» urlò Finnian, mettendosi le mani fra i capelli e chiudendo gli occhi con aria sofferente.
Bard annuì di nuovo”
“Erano disidratati, buttati in un angolino come scope. Alzarono tutti e tre la mano, contemporaneamente «Sebast … Sebastian-san». Quello non li degnò di uno sguardo”
“Quella notte la passarono insonne. Fra il Bocchan e Lizzie che strillavano, non era propriamente una bella notte, non per dormire. Stavano schiattando. Erano al limite. Presto sarebbero stati preda di una fortissima crisi isterica e si sarebbero uccisi a vicenda.
«Champ, champ, champ» iniziò a dire ritmicamente Finnian.
Così, senza un motivo”
“«No, no, non toccare!»
«Non puoi!»
«Che comportamento riprovevole!»
«Sei un disonore per l’antica casata dei Phantomhive!»
Erano diventate frasi ricorrenti. Mogi mogi, seguirono il maggiordomo che parlottava con Ciel di cose che non suscitavano in loro una briciole di interesse”
Avevano tutto, diceva lui?
Finnian fu preso dall’isterismo acuto «Ci manca tutto! Siamo affamati, tra un poco autistici, disidratati, stanchi, assonnati e stiamo per diventare pazzi!».
Bard e Meirin trattennero il fiato, in attesa di una sfuriata di Sebastian.
“Gliela devo fare pagare” pensò il maggiordomo “Ma se sono ridotti così male non possono che rappresentare uno svantaggio. Per ora li aiuto, a casa li ammazzo di botte”
«Bene, Finnian. Tu sostieni che noi non vi diamo abbastanza» iniziò Sebastian, mentre il cuoco e la cameriera tremavano e sudavano freddo «Allora vi fornirò ciò che desiderate. Chiedete, su!»
Gli occhi dei tre si illuminarono mentre si sporgevano verso il demone «Grazie Sebastian-san!»
«Io …» disse Bard
«… Ho» continuò la cameriera
«Fame!» completò Finnian massaggiandosi lo stomaco brontolante.
Lui, gli sorrise, socchiudendo gli occhi in uno sguardo gelido nonostante il sorriso sdentato «Bene. Andiamo. Bocchan …»
«Andiamo, Sebastian» acconsentì il bambino mentre Lizzie saltellava dietro di lui, poi lo sorpassò e cominciò a correre verso la sua camera.
Mentre i Kuroshitsujiani si dirigevano verso la cucina si udì un urlo, acuto, trillante, inconfondibile.
«Lizzie!» strillò Ciel «Veniamo a salvarti! Sebastian!» e detto questo cominciò a correre verso la camera della ragazzina.
I tre rimasero impalati in cucina. Poi iniziarono a far fuori tutto ciò che trovarono
«Farina!» esultò Finnian, versandosi il pacco, con tutta la carta, in bocca
«Uva sultanina!» gioì Meirin, più fortunata, che fece scomparire in un nano-secondo o giù di lì la prelibatezza
«Ciliegie!» urlò Bard, facendo si che queste facessero la stessa fine dell’alimento trovato dalla cameriera. Ovviamente, non pensarono neppure di fare cucinare Bard, il cuoco. Non volevano rischiare un intossicazione alimentare.
Nel frattempo, Ciel e Sebastian fecero irruzione nella camera di Lady Middford che, singhiozzando, era riversa su un brandello di stoffa nel caos più totale.
La scritta a mò di festone cartaceo che una volta era “kawai” adesso era una “i” sbilenca, attaccata solo da un lato con dello scotch al e penzolante nel vuoto. Il resto giaceva per terra con grossi buchi che lo deturpavano per l’eternità.
Gli orsacchiotti rosa, che una volta erano teneri e morbidi, sembravano piccoli zombie, con l’interno per la maggior parte riverso nella parte esterna, come una raccapricciante mostra di organi interni e lo stesso orsacchiotto che aveva guardato Sebastian con occhi vitrei, era un torso privo di testa e arti. L’ammobilio intorno era completamente distrutto, con i ragni rosa fluo che fuggivano dalle loro ragnatele rosa shocking.
Il mobiletto rosa che conteneva gli effetti personali di Elizabeth era un’anta che stava magicamente in piedi. A uno starnuto di questa, cadde per terra. I quadri, per esempio “La Gioconda”, che aveva dei denti alla “Grell e\o Grelle Sutcliffe” fatti con il bianchetto e un colore a spirito nero, o gli occhi rossi e i baffi alla Vladcard, alias Vlad Dracula III di Valacchia. Gli altri avevano facce mostruose rifatte con il pennarello, senza contare i disegni della piccola nobile con tutti i personaggi con un buco nel cuore e del sangue. Vero, che impiastricciava il disegno.
I vestiti, la cosa che Lizzie aveva adorato di più, erano brandelli che sembravano strappati da un cane rabbioso e quello più intero era una specie di lavoretto di carte come quelli dei cartoni animati: un sacco di omini tutti in fila che si tenevano per mano. Se ne distingueva uno che aveva qualcosa di strano in testa e che gli usciva dal lato destro della faccia. Bhè, dalla scritta che aveva (“Master”) si può capire che le cose in testa erano i ciuffi impossibili della pettinatura e la cosa era una sigaretta.
Elizabeth giaceva scomposta a terra, ondeggiando in preda a un attacco di chissà cosa, piangendo a dirotto.
«Se-sebastian» mormorò Ciel «Cos’è questo?»
«Non lo so, Bocchan» ammise, incredulo, il maggiordomo con sincerità
«Sebastian!» Ciel ebbe un’illuminazione «Tu consola Lizzie. Io devo controllare una cosa!» scappò via, mentre il maggiordomo demoniaco si chinava su Elizabeth e si disgustava da solo dicendo un mucchio di cose sdolcinate che gli fecero ribrezzo.
Poco dopo si udì un urlo, acuto, trillante, inconfondibile.
«Bocchan!» si alzò fulmineo e fuggì, lasciando una sbalordita Lizzie sul pavimento, ma ormai consolata,
Quando Sebastian entrò nella stanza vide che, anche lì, tutto era distrutto. La preziosa tazzina porta-fortuna del Bocchan era a terra e ne restava … un buco.
Sul lettone matrimoniale di Ciel vi era l’impronta di due enormi piedi che avevano curvato il letto verso il basso, con le estremità che ricordavano quelle di una nave spezzata che sta affondando rapidamente. Le tende erano bucherellate e in una c’era persino segno di un morso di una bocca enorme.
Ciel giaceva a terra e ondeggiava. Forse era indemoniato.
Dalle stanza della servitù (dopo che si erano saziati mangiando tutto erano tornati nelle loro camere) si udirono tre urli in rapida successione.
Sebastian si mise le mani fra i capelli e si sentì sollevato perché lui non aveva la camera. Ma si sentì morire perché gli altri non sapevano riordinare le camere.
«Gliela farò pagare … gliela farò pagare» Mormorò, riferendosi all’autore del disastro.
Qualcuno aveva cercato di sabotare le loro esistenze … ma chi? Chi poteva avere una bocca come quella che si era mangiata le tende e gli orsacchiotti? Chi poteva avere quei piedi enormi, quegli stivali sporchi che avevano insudiciato il copriletto prima di distruggere del tutto la struttura portante del letto?
Sebastian aveva in mente un solo nome: Alucard.
Così, il meraviglioso, efficientissimo, maggiordomo di casa Phantomhive si organizzò mentalmente per rendere pan per focaccia all’orribile torto subito, all’onta di vedere il proprio padroncino straziato dal dolore, sul pavimento, povero bambino indifeso!
Sebastian strinse gli occhi e nelle sue iridi comparve il riflesso di fuoco delle fiamme cremisi, le fiamme inestinguibili dell’inferno che contornavano una ferina pupilla verticale.
La luce non si rifletteva più sui suoi occhi, essi brillavano di luce propria, grandi e terribili nella loro rabbia sanguinaria. Forse Alucard, per quanto potente, aveva sbagliato nel cercare di sabotare l’esistenza dei Phantomhive.
«Bene» Mormorò Sebastian «Adesso cerchiamo di mettere un pò a posto questa casa … poi vedremo il da farsi».
Ciel sembrò riaversi un poco, rialzando la testa da terra. I suoi capelli erano sporchi di polvere e di granelli di roba bruciacchiata, oltre che di pezzi di spugna fuoriusciti dai ventri strappati degli orsacchiotti di Peluche.
Sebastian prese il suo piccolo padrone fra le braccia e lo sollevò da terra con delicatezza
«My lord, state meglio?»
«Si, Sebastian» la voce di Ciel era rotta e sottile «Ma i nemici pagheranno, la pagheranno cara … è un ordine, Sebastian, va a fare a loro quello che loro hanno fatto a noi»
«Ma, Bocchan … le nostre stanze sono ancora disordinate …»
«Non mi interessa» Ciel scosse la testa con convinzione, poi si portò una mano alla benda «Non costringermi a ricordarti i termini del nostro patto, Sebastian. Non costringermi …»
«Certo, Bocchan» con delicatezza, il maggiordomo posò il corpo esile di Ciel sopra all’unica sedia intatta, poi sfrecciò fuori.
Doveva essere pronto a tutto, non sarebbe stato facile. A volte Ciel non era molto intelligente: aveva ordinato a Sebastian di andare a distruggere le camere degli Hellsing proprio mentre i padroni, come si usa dire, erano dentro casa. No, non sarebbe stato affatto facile …
Come un ninja, Sebastian si nascondeva dietro gli angoli, appiattendosi. Saliva le scale agile, a lunghi passi ed a due gradini alla volta, poi di nuovo si mimetizzava dietro le pareti, si abbassava, ascoltava, si muoveva in punta di piedi, silente come un’ombra. Sarebbe stato un magnifico assassino, se mai quella fosse stata la sua professione.
Ma lui aveva scelto di essere un maggiordomo e questo, per lui, significava essere tutto per il suo Bocchan: che fosse cuoco, che fosse spazzino, che fosse assassino, lui doveva impegnarsi per trasmutarsi ed essere ciò che gli veniva ordinato di essere. Adesso doveva essere un sabotatore e si era calato con serietà nella parte.
D’improvviso, mentre era schiacciato contro un muro come tappezzeria, udì la voce del grosso vampiro in rosso parlare da dentro la stanza
«Gli ho giocato proprio un bello scherzo …».
Sebastian serrò le labbra. Lui, era stato lui, Alucard a distruggere i loro alloggi! Ben attento a non farsi scoprire, Sebastian si fermò e premette l’orecchio contro il muro: aveva un udito molto acuto e per lui origliare significava, molto probabilmente, carpire informazioni di importanza vitale.
«Ah, senza dubbio … si, Master …»
«Sei stato molto bravo, Alucard. Sento da qui le loro urla di disperazione» Questa, invece, era la voce di Integra, profondamente compiaciuta
«Oh, anche io le sento. Ho distrutto tutto ciò che a loro era più caro. Ah, questi materialisti!»
«Intendi dire che noi non lo siamo?» adesso la donna sembrava divertita
«Se anche dovessero distruggere la mia stanza e fare a pezzi la mia bara dubito che mi dispererei come stanno facendo quei patetici soggetti. Siamo sempre insieme, no? Io e te. Non mi serve nient’altro per essere felice».
Sebastian fece un’espressione disgustata. Aveva dato a loro, ai Phantomhive, dei materialisti? E quell’uomo tanto grande e grosso, così malvagio e orribile, stava davvero facendo una così stucchevole dichiarazione d’affetto al suo Master? Un Master ben poco raffinato e bello, a dire il vero, Sebastian credeva che non ci fosse confronto, esteticamente, fra Ciel e Integra. Ma era evidente che le idee di Alucard erano ben altre …
«Davvero?» Lady Hellsing emise una breve sequenza di risa piene «Sai, sei un pò troppo tenero, a volte, per essere un vampiro»
«Non dovrei?»
«È una di quelle cose di te che mi piace di meno»
«Oh» Alucard sembrava altrettanto divertito, quando invece avrebbe dovuto essere deluso «A te piace la parte di me più sadica? Quella che distrugge, quella che mutila?»
«A me piace la parte di te che ci fa vincere» ribatté Integra «Credo che tu abbia capito di che cosa sto parlando»
«Si, Master. Ti piace la parte di me che mi ha spinto a distruggere le miserabili vite materialiste dei nostri nemici?»
«Esatto, Alucard, esatto …»
«Credevo che tu adorassi di me anche le mie …» sussurrò qualcosa, poi riprese «Ad ogni modo credo che per questo argomento ci sarà tempo …»
«Declama pure adesso»
«Parole, parole … ah, non è facile non avendo nulla su cui poetare»
«Potresti poetare, per esempio, sul maggiordomo che ci sta ascoltando in questo momento» Integra iniziò a ridere.
Sebastian sfrecciò via verso le dimore dell’Hellsing, incredulo. Come diavolo aveva fatto quella diavolessa a scovarlo? Aveva una vista a raggi X? E se anche così fosse stato, come cavolo aveva fatto a sapere esattamente dove guardare? Neanche con un super udito si sarebbe potuto intercettare un uomo così silenzioso come lo era lui.
Alucard si grattò una tempia
«Quale maggiordomo?» chiese
«Niente» Integra si tolse il sigaro dalle labbra «Dicevo così per dire. Ma se ci fosse stato un maggiordomo, intendo, insomma, Sebastian, tu lo avresti distrutto, vero?»
«Sicuro, mio Master. Avrei preso il suo esile corpo e lo avrei reso ancora più esile … se tu avessi voluto avrei lentamente smerigliato la sua pelle fino ad esporre le ossa e lucidarle. Dopotutto i demoni sono molto resistenti, non si uccidono facilmente. Ma io … io lo avrei ucciso, avrei preso la sua anima piena di altre anime, gli altri scambi … ecco, forse è questa la differenza fra me e lui, che lui, gentile e subdolo al tempo stesso, ruba le anime delle sue prede attendendo, preparandosi, circuendo la sua preda, servendola, allettandola, e poi, alla fine, dopo aver dato ad essa una speranza di salvezza, ecco che la sua vera natura esce e si nutre. Un demone maggiordomo, sono anche peggio dei vampiri, per certi versi! Ed io, invece … oh, a volte penso di essere così ingordo, così avventato. Amo il sangue caldo, bagnarmi in esso le dita e le labbra, vederlo scorrere sulle mie mani, sporcarmi la pelle, ma sopra ogni cosa amo il terrore che si dipinge negli occhi delle mie vittime ogni qual volta essa sta per morire, gli ultimi aneliti, gli ultimi palpiti del suo cuore …».
Alucard alzò lo sguardo al soffitto e socchiuse gli occhi rossi, brillanti, poi emise una specie di lungo sbuffo, quasi un appassionato sospiro
«Oh, amo vedere la bellezza di una vita che muore. Ma ecco, Master, continui ancora a preferire me, seppure io sia così perversamente … ingordo?»
«Hai proprio ragione, Alucard» Integra soffiò del fumo in direzione del volto del vampiro, il quale rimase immobile, poi rise sommessamente «Si, Alucard, quello che mi piace di più di te sono le tue parole. Sei proprio un poeta …».
Alucard si inchinò, poi uscì fuori. E non appena fu fuori dalla porta fiutò l’odore di Sebastian. Credete che quel grosso nasone affilato non serva a niente, stia lì solo per ornamento? Beh, vi state sbagliando: l’asso nella manica dell’Hellsing aveva un ottimo fiuto e non ci mise che qualche millesimo di secondo per individuare la scia olfattiva del maggiordomo dei Phantomhive. Così Alucard si mise all’inseguimento, mentre Sebastian continuava a destreggiarsi come un ninja di corridoio in corridoio, cercando di raggiungere la stanza delle bare di Seras e Alucard. Peccato che nella stanza delle bare, per l’appunto, ci dormisse Seras …
«Ehi!» Gridò la Police Girl, quando Sebastian colpì il fianco della sua bara con l’intendo di distruggerlo «Qui c’è gente che sta cercando di riposare! Volete fare silenzio?».
Sebastian ebbe un trasalimento improvviso che lo fece sbiancare più di quanto non fosse già. Doveva mettere a tacere quella giovane vampira prima che avesse chiamato quello grosso! Così scoperchiò la bara e afferrò per le ascelle Seras.
La vampira stava per strillare quando Sebastian la sbattè di petto contro la parete, mozzandole il fiato e non permettendo alle sue parole di uscire. Seras si dibatté selvaggiamente, ma Sebastian rimaneva comunque troppo forte per lei e la colpì con forza alla gola, lacerandogliela: in breve le corde vocali della vampira furono inutilizzabili.
Seras riuscì a liberarsi e rimettersi in piedi, con il petto sporco di sangue e la bocca ancora spalancata di stupore e di dolore. Avrebbe voluto correre dal suo master e raccontargli tutto, anche solo scriverglielo, e fargliela pagare a quel mostro del maggiordomo dei Phantomhive, ma Sebastian le si scagliò contro, si abbassò repentinamente e le ruppe le ginocchia con una spallata.
Il rumore delle ossa che si spezzavano fu come quello di un grosso ramo che si rompe sotto i piedi e Seras non capì da dove quel suono provenisse finché, d’improvviso, non si accasciò al suolo. Non aveva voce per urlare, non aveva piedi per correre, e vedeva di fronte a se la figura alta e magra del maggiordomo che sogghignava in quel modo orrendo, senza mostrare i denti.
Sebastian si diresse tranquillo verso la bara di Alucard, con il chiaro intento di distruggerla. Il vampiro in rosso aveva detto di non essere materialista, che non gli importava se distruggevano la sua bara … ma bene, Sebastian voleva ben vedere quale sarebbe stata la sua reazione sapendo di non avere più un posto dove riposare durante le ore diurne.
Il maggiordomo dei Phantomhive si rimboccò le maniche immacolate: non voleva lasciare una sola scheggia di legno di quella che ora era una gigantesca bara nera e lucida di fronte a lui.
Lesse le parole sul coperchio:
The bird of Hermes is my name
Eating my wings to make me tame.
Scosse la testa, poi mormorò sottovoce
«Ebbene, uccellino di Ermes, sto per distruggere il tuo nido …»
Seras spalancò gli occhi, ma non si mosse dal punto in cui si era accasciata. Persino lei, che era una Police Girl così stupida, capiva che non sarebbe servito proprio a niente contorcersi in preda al dolore.
Sebastian, sogghignando in quel suo modo che molti definirebbero “delicato” ma Seras definiva ormai “disgustoso”, Sebastian fece scrocchiare le esili dita.
Il primo colpo che il maggiordomo inferse al lungo oggetto nero e lucido, fu una manata come quelle dei praticatori di karate contro i mattoni per romperli in due. La bara né risenti molto e bhè … diciamo che fece la stessa fine del mattone …
Crac.
Le prime schegge volarono tutt’intorno. Seras guardò malinconicamente un piccolo pezzo di legno, simile a un ago, che era atterrato a un soffio dalla sua gamba.
Sebastian, continuò serio, imperterrito, nel suo compito di sabotatore, mentre la stanza delle bare si riempiva di suoni secchi e duri.
Dapprima, come una specie di sottofondo, si sentì un continuo ticchettio.
Tic tic tic tic.
Poi, il ticchettio fu sempre più potente, risuonava fastidioso come un enorme sciame di ratti che attraversano le strade. L’aria veniva pervasa da un qualcosa, un qualcosa di strano. Un qualcosa di simile alla paura.
Sebastian, suo malgrado, si sentì obbligato a smettere e si guardò intorno.
Era circondato da un mucchio di animali dalla forma stretta e allungata, muniti di molte zampe, probabilmente le artefici del suono. Il colore era indistinguibile, perché tutt’intorno sembrava che il mondo avesse preso il nero che conteneva e lo avesse convogliato lì, in quella stanza, sottoforma di oscurità, con una sfumatura di rosso che colorava inquietantemente l’atmosfera.
Qualcosa danzava intorno, no, non danzava, si muoveva come un predatore…
“Tu …”
Paura, no, non paura, non era paura, terrore …
“Adesso …”
Il cuore … il cuore danzava con quello, con quelle cose …
“Morirai …”
Sebastian spalancò gli occhi, e si guardò intorno. Stavolta non passò il suo sguardo semplicemente, guardò davvero.
Vedeva nero, nero fino a dove arrivava il suo sguardo, nero come la pece, senza fine, nero come la morte e poi …
“Si, tu morirai …”
Quel rosso che donava colore, sembravano fiamme, il fuoco dell’inferno, e l’inferno era venuto a reclamarlo di nuovo. Involontariamente si rannicchiò, spiandosi intorno come un bambino spaventato.
“E non puoi farci niente”
Sebastian, nonostante fosse un demone, tremò.
“Ehi, gattino … che ne dici di venire a divertirti?”
«No!» Sebastian cercò l’uscita, ma non vide che nero a perdita d’occhio.
“Io sono … il cane. Sei pronto?”
«No, non sono pronto» disse chiudendo gli occhi e alzandosi, allontanandosi dalla bara che aveva comunque ricevuto seri danni a causa della forza del demone.
E Alucard finalmente comparve. Splendido e orribile, si ergeva di fronte a Sebastian. Non somigliava a niente che il maggiordomo avesse mai visto, nulla di umano, nulla di possibile.
Secondo il patto di Cromwell, elimino le restrizioni, lascio che il potere fluisca …
Il vampiro era stranamente più alto, ormai toccava il soffitto con la testa. E la parte inferiore del suo corpo … oddio, che cosa gli era successo? Laddove avrebbero dovuto esserci le gambe si allungava quella che sembrava una massa solida di tenebre intorno alla quale vorticava una nebbia scura e densa, inframmezzata di decine e decine di puntini rossi che … che sembravano proprio iridi dalle pupille ristrette.
Solo il busto sporgeva dall’oscurità lucente, i capelli neri che si scioglievano sulla schiena, i muscoli delle spalle in rilievo sotto il tessuto nero della camicia, incurvato verso Sebastian. I grossi denti affilati e ferini del vampiro erano scoperti in un ringhio vero, selvaggio, gli occhi erano spalancati e brillavano.
Alucard parlò e quando lo fece fu come se la sua voce risalisse dalle profondità stesse dell’inferno
«Tu …»
Sebastian indietreggio, schiacciandosi con le spalle contro la parete e tastando dietro di se alla ricerca di una qualsiasi arma da utilizzare
« … Hai … »
Il demone maggiordomo aprì la bocca per dire qualcosa ma si accorse di non sapere esattamente cosa volesse dire. Poteva forse discolparsi per quello che aveva fatto? Poteva dire “sei stato prima tu”? Il mostro non avrebbe capito.
« … Distrutto la mia …».
Seras sorrise anche nella dolorante agonia: il suo master era splendido quando faceva così, era una di quelle cose che la faceva sentire emozionata e, cosa rara per un vampiro, spaventata. Eppure era un timore così trascendentale, un’emozione così forte, che le faceva quasi bene …
« ... Bara!».
Alucard si slanciò verso Sebastian. Ciò che accadde in seguito non poté essere filmato dalle telecamere: i loro obbiettivi erano offuscati di tenebre e di sangue.
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