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martedì 2 dicembre 2014

Capitolo 2 - Il Bocchan Phantomhive

Capitolo 2
Il Bocchan Phantomhive

«Sebastiaaan!» urlò il ragazzino dimenandosi sulla sua sedia dall’alto schienale foderato di raso blu «Voglio il thè, straccione schifoso! Yaoi che non sei altro!»
«Yes, my lord» disse il maggiordomo, che secco secco anoressico com’era, si inchinò fino a terra «Bocchan?» chiese poi Sebastian, sbirciandolo da sotto le ciglia lunghe. I suoi occhi avevano perso la sfumature porpora e avevano più o meno il colore del sangue rappreso.
Il “Bocchan” in questione era un ragazzino piccolo, secco, vagamente effeminato. I suoi capelli corti e leggermente monacali, erano di un color topo transgenico turchino sporco ma non troppo. Coprivano in parte gli occhi, anzi l’occhio, visto che l’altro era coperto da una benda nera grande quanta metà della sua faccia. Quello visibile era (normalmente) blu, un’enorme patata blu in un viso piccolo così, ma che all’occorrenza poteva assumere un colorito vagamente violaceo, mentre l’altro lo era sempre e continuamente, solo che, sotto la benda, quando impartiva un ordine diventava un coso fluorescente nell’oscurità. Tipo occhio di gatto, ma grande quanto un gatto.
Era vestito in una maniera che in dialetto calabrese definirebbero “n’suvaratu”, ma che, per noi comuni italiani non-calabresi sarebbe all’antica ma lucido, pomposo, nastrinoso e fiocchettoso, se mi permettete i termini. Non un solo granellino di polvere albergava sul suo abbigliamento uniformemente turchino, non una macchiolina sulle scarpe legnose con un tacco di sei centimetri (e Ciel era molto basso così com’era conciato). Oh, no, c’era un granello di polvere!
Sebastian, veloce come la luce, fulmineo e felino, soffiò sulla polvere che abbandonò il vestito.
Il Bocchan lo guardò con un fulmisguardo, si, come quelli dei pokèmon. Aveva la bocca storta in un’espressione contrariata, una di quelle espressioni da anime che fanno ridacchiare.
Ma Sebastian non ridacchiò. Lui non avrebbe mai volgarmente ridacchiato! Lui rideva argentinamente! Ma non lo fece per paura di beccarsi qualcosa che facesse male, come quella volta che quel mostro antropomorfo gli aveva preso la lingua e gliela aveva ficcata a forza in una narice e gli aveva ordinato di stare così per tutta la giornata
«Non sono stato chiaro, Sebastian?» gli disse, mantenendo l’espressione contrariata «Ho detto» (inquadratura in primo piano delle labbra del Conte) «VOGLIO-IL-THÈ-SUBITO»
«Certo, Bocchan. Mi chiedevo: perché partecipiamo?»
«Perché Sebastian? TU mi chiedi PERCHÉ?!» Ciel si alzò di scatto dal suo trono comodissimo da strariccone che lo voglio pure io e iniziò a gesticolare urlando «Come fai a non capirlo? Stupido pezzente! Cornuto di un maggiordomo! Tu osi chiedere a me perché partecipiamo?!»
«Si, Bocchan» mormorò Sebastian, in soggezione, guardandolo con gli occhi spalancati
«Capriccio» commentò rapidamente, sventolando una mano, poi si risedette e con un gesto imperioso (indice verso la cucina e tazzina immaginaria alle labbra) mandò il suo maggiordomo a preparargli il thè.
Sebastian ci rimase secco. Non che non lo fosse già.
Si diresse verso la cucina. E poi gli venne da svenire.
Rosa, tanto rosa. Shocky Bandz appesi al lampadario. Glitter ovunque. Stelline filanti e pompon in giro per casa. Orsacchiotti, cavallini, tartarughine, coniglietti e tutti i tipi di animali. Peluche.
«CRAZY GIIRRLL!!» si sentì un urlo provenire dalla cucina, mentre la servitù fuggiva passando davanti a Sebastian, senza degnarlo di uno sguardo.
Sebastian ci rimase così secco da essere anoressico.
E poi il canto. Un motivetto terribile, che non si scordava, formato da un’unica parola
«Kawai, kawai, kawai, kawaaaaii!» sembrava la musichetta dello squalo.
E si ripeteva all’infinito.
«Ciao Sebastian! Dov’è Shieru?» domandò una vocina dal basso. Sebastian girò la testa con difficoltà. 
«Salve, Elizabeth Cornelia Esthel Middford» rispose il maggiordomo, educatamente
«Ah!» la ragazzina, che aveva una testa piena bionda con due specie di boccoli giganti che avrebbero dovuto essere trecce, scosse il capo con indignazione «Ti sei di nuovo messo quella brutta divisa da corvo! Ora ti aggiusto io!» e detto questo ficcò in testa al maggiordomo una specie di obbrobrio che somigliava solo lontanamente ad un cappello, ma che in realtà era una fascia rosa con sopra appuntati un sacco di fiorellini blu e bianchi di carta, un vero e proprio mazzo gonfio da un lato come un pennacchio,e con il pennarello, nel centro, la fascia recava scritta una parola: Kawai.
Kawai, in giapponese, significa carino, ma Sebastian sperava vivamente che gli Hellsing non capissero il giapponese, visto che da lì a poco avrebbe dovuto incontrarli nel grande salone centrale per affrontare la prima prova contro di loro.
Ciel gridò dal suo studio
«Dov’è la mia tazza di thè?»
«Vuoi una tazza di me?» Lizzie tirò su con il naso «Sebastian, hai visto com’è cattivo Ciel! Mi ha dato della tazza! Vuole dire che sono un cesso?» e pronunciate queste parole che rimarranno impresse per sempre nella storia dei Phantomhive per la loro spaventosa profondità, Elizabeth scoppiò in un pianto dirotto, singhiozzante, che la scosse dalla testa ai piedi.
Sebastian non poteva permettersi di consolarla: la sua priorità assoluta andava al thè del suo padroncino, quel Earl Grey che lui amava tanto, caldo, denso, aromatico e fumate. Prese una teiera e la mise sotto il mento di Lizzie, raccogliendone le lacrime, poi aggiunse abbondante acqua e ci mise in infuso il thè. Visto che l’acqua presente nella casa del reality era limitata, da bravo maggiordomo risparmioso, Sebastian aveva pensato di riciclare persino le lacrime della giovanissima fidanzatina del padroncino.
Peccato che Ciel se ne accorse
«Questo thè …» il ragazzino guardò schifato la bevanda con il suo unico occhio scoperto «Questo thè è salato, ed è stato salato con le lacrime di Lizzie!».
La domanda era, perché un ragazzino così idiota e rancoroso era capace di riconoscere qualunque cosa purché gliela versassero nel thè? La risposta era semplice: lui era il Bocchan, il signore, e questo era il suo talento più spiccato … Sebastian quasi pianse per la commozione, ma fu costretto a piangere davvero quando Ciel lo picchiò con un frustino sul naso fino a strappargliene la punta.
Il Bocchan è sempre il Bocchan.
Il maggiordomo, con la punta del naso perfetto mancante (la freccina immaginaria, immancabile guarnizione di qualunque cosa a base manga, lo indicò creando a mezz’aria il tratteggio perfetto della forma del pezzo di naso assente) uscì. Uno qualunque sarebbe stato triste, o arrabbiato, avrebbe strascicato i piedi o li avrebbe pestati.
Non sarebbe certo sfilato eretto e dignitoso davanti alla servitù che lo fissava con la bocca aperta (Meirin, la cameriera occhialuta, era anche munita di filo di bava) con una freccina che gli sciamava davanti alla faccia indicando un tratteggio sul suo naso.
Un orsacchiotto rosa lo guardò dalla base della scala, con occhi vitrei e morti. «Ti voglio bene» gli mormorò «Diventiamo amici».
Lui lo ignorò con un enorme sforzo di volontà e passò avanti, dignitoso. Non sarebbe stato carino strappa-distruggere un orsacchiotto di Lady Middford
«Sebastian-san» mormorò la cameriera, piangente.
“Il signorino è troppo severo. Cosa ha fatto di male Sebastian-san?Povero cavaliere valoroso!” pensò il giardiniere superforzuto nonostante fosse secco che, come gli altri della casa a parte il cuoco Bard, era impossibile da definire “maschio” seppure egli lo fosse. Eh, si, madre Natura era stata proprio cattiva con quei poveretti. Aveva munito il giardiniere (Finnian o Finny per gli amici) di una bella mollettina rossa che raccoglieva i suoi capelli biondi e leggermente sparati in un ciuffetto laterale che era estremamente femminile. Si, proprio Madre Natura: la molletta era parte del corpo del ragazzo.
Dopo che Sebastian gli ebbe preparato un thè decente, e Elizabeth avesse finito di versare tutte le sue lacrime, Ciel Phantomhive annunciò
«Andiamo. Subito. Venite, Sebastian, Lizzy, Bard, Meirin e Finnian. Seguitemi!» detto questo prese il suo bastone ma lo riposò con una smorfia.
Il legno era strano, era … a chiocciola! Era perfettamente piegato, con tanto di topo che saliva e scendeva come uno scemo forsennatamente dal bastone, una vera scala.
Ciel assunse una espressione irosa. Finnian iniziò a sudare freddo. Di solito non si controllava, non riusciva a controllare la sua forza. Ma stavolta era stavo volontario
“«Oh!» esclamò «Il bastone da passeggio nuovo del signorino!».
Era bello, nero e levigato, regale nonostante fosse un pezzo di legno. Finnian tese la mano ma la ritrasse subito. Era pericoloso.
Era così … bello. Aveva l’aspetto estremamente malleabile, ma regale con tutto quel nero.
Sentì l’impulso. Doveva prenderlo. Ora. E romperlo.
Tese la mano e tocco il legno freddo e lo attirò a se. Tentò di spezzarlo, mettendoci tutta la sua superforza, ma con sua enorme sorpresa il legno si piegò verso il basso. Non era legno.
Sorridendo, Finnian iniziò a modellarlo, prima come un cane, poi come un grillo, poi si stufò. E gli venne un’idea.
Il legno,o qualunque cosa fosse, si piegò docilmente fino a diventare una specie di scala.
Accortosi di quello che aveva appena fatto, Finnian fuggì. Rientrò in cucina dove trovò Bard
«Tehe!» disse mettendosi una mano dietro la testa.
Bard lo guardò interrogativamente.”
Lo sguardo del Bocchan saettò verso Finnian
«FINNYYY!» urlò, adirato «Sebastian!» additò il giardiniere «Sculaccialo!»
«Yes, my lord» gli occhi del maggiordomo si accesero di porpora «Sono un diavolo di maggiordomo. Un maggiordomo perfetto»
Finny indietreggiò terrorizzato.
Poi fu il nero.
Dolore!

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giovedì 6 novembre 2014

Capitolo 1 - Il capo degli Hellsing

Capitolo 1
Il capo dell’Hellsing

«Mio master … mio master … perché mi fai questo? Io non ci volevo andare con quel pezzo di…»
«Alucard!»
«Copione di un maggiordomo. “Io sono un maggiordomo perfetto, gna gna gna”» disse il vampiro, facendo una vocetta stridula « “Vero, boccino?” Manco fossimo ai campionati di Quidditch!» ringhiò, rabbioso.
«Alucard, Alucard, sai perché l’ho fatto, vero?»
«L’Hellsing è a corto di fondi?» disse, usando una voce dolce e ingenua che strideva in modo fin troppo evidente con il suo aspetto.
«No, Alucard. Ti sei schiantato con il mio preziosissimo caccia contro una portaerei. E io questa non te la perdono. Oh, no. È un modo per scusarti. Vero?» i suoi occhi si ridussero a fessure.
«Giusto, Master» il vampiro chinò la testa, dispiaciuto «Sorry»
«Bene. Fai in modo di vincere. Search and destroy!» urlò all’improvviso il Boss
«Cosa?Posso davvero distruggere quel maggiordomo di …»
«Alucard …»
«… Cavolobroccolo? È fantastico!»
«No, Alucard. L’ho detto tanto per. E ora vai»
«O. K. Master, no problem» e detto questo si girò e a passi ritmici imboccò l’uscita.
La donna sorrise compiaciuta. E, si, perché il “Master” era una donna. Avrebbe dovuto chiamarsi Mistress, lo sappiamo tutti, ma la chiamavano master comunque.
Certo, da quand’era piccola era sempre stata un pò … ehm … mascolina, ma Integra non sembra un nome molto maschile, vi pare?
E in effetti era questo che era la donna. Integra. Decisa. D’acciaio. E, soprattutto, imbattibile. I giochi da tavola erano la sua specialità, la lotta era la sua specialità, le gare a chi mangiava di più erano la sua specialità, qualunque cosa era la sua specialità.
E la cosa più “specialità” di tutte era umiliare la gente dopo averla battuta. Cose come farla vestire per una settimana da camerierine francesi, o ciò che le faceva arrabbiare tanto da piangere.
Quindi, la cosa che sapeva fare meglio era vincere.
Aveva i capelli lunghi (con una pettinatura impossibile da descrivere sulla fronte) di un biondo scuro, che le ricadevano morbidamente sulle spalle fin troppo larghe, da lottatrice di wrestling o praticatrice di sport estremi (cosa che, come le altre, era la sua specialità). Il corpo era snello ma muscoloso, cosa che faceva pensare che un suo pugno avrebbe fatto qualche offesa non indifferente alla tua faccia.
Portava occhiali, di quelli tondi senza speciali montature, quelli che oggi come oggi sono stati sostituiti dagli occhialoni a mandorla con una montatura bianca spessa nove metri e le lenti da vista, nere, quelli con cui non ci vedi un fico secco. Le lenti di questi occhiali che non si trovano al giorno d’oggi celavano i suoi occhi, di un blu intenso, penetranti e con la possibilità di piegarti automaticamente al volere di quella donna.
Aveva un fazzoletto al collo, blu, con sopra appuntata una lucente croce dorata. E meno male che lei era la donna e portava il fazzoletto blu, e Alucard l’uomo e portava il fiocco rosso… Il resto era una divisa monocromatica, di uno stranissimo… blu.
Era, leggermente, un pò blu.
Si girò, soddisfatta, e ricominciò a scarabocchiare alcune scartoffie puzzolenti, di quelle scartoffie puzzolenti che al giorno d’oggi nessuno scarabocchia più.
Era un tipo strano, Integra Farburke Wingates Hellsing, non vi pare?
Ah, cosa più importante: era il Boss dei Boss.
Fuori nel corridoio, Alucard fu assalito da un vortice che scaraventò con perizia ogni singolo oggetto sul pavimento, un vortice leggermente giallino con occhi (e anche altro) troppo grandi.
«MASTAHH!»
«Eccola» si rassegnò Alucard, mentre il maggiordomo cornuto di turno, Walter Cam Dorneaz, (eh, si, in questa casa nessuno aveva dei nomi normali) era ugualmente rassegnato e raccoglieva le cose in frantumi a terra. Il suo volto si illuminò quando trovò qualcosa (un piatto) di non ancora in pezzi, ma la ragazza (perché il vortice era una ragazza) tornò indietro e lo calpestò con cura, poi si guardò intorno, con sguardo spaesato, e ritornò urlando da Alucard
«Mastah!» la ragazza non riusciva a dire parole come “mio signore”, “master”, “maestro”, o altro. Il suo era il linguaggio “Mastahese”.
«Si, police girl?»
«L’altra volta mi avevi chiamato Seras!» urlò, indignata, aggiungendo subito dopo un lunghissimo “Mastaaahh!”.
Alucard sospirò, rassegnato, e si strinse nelle spalle. Faceva uno strano effetto su uno come lui. Guardò la ragazza che aveva davanti e si chiese come avesse potuto essere tanto idiota da scegliere una altrettanto idiota da vampirizzare. Lei, al tempo del suo “passaggio alle tenebre”, aveva solo diciannove anni, capelli biondi sparati in tutte le direzioni e due enormi occhi azzurrini che non erano la sola cosa enorme in lei. Chiariamo subito che la cosa enorme non era la sua altezza, perché arrivava si e no al fianco di Alucard con la testa. Non era neanche grassa. Cosa aveva di enorme, allora, di gigantesco, di …
“Questa ha due airbag davanti. Sul serio. E fanno solo danno, con questi ci colpisce i piatti di ceramica in giro per casa e frantuma le porte delle camere”
Pensò Alucard, poi si passò una mano sul volto pallido
«Seras, fintantoché sarai solo una molesta rompi …»
«Mastah! Non si dicono le parolacce!»
« … piatti, per me non sarai altro che una police girl. Non meriti di essere chiamata con il tuo nome, mero agente di polizia»
«Giochiamo a guardie e ladri?»
«A … a guardie e ladri?» Alucard digrignò i denti ancora di più di come era possibile con la sua paralisi facciale di tutti i giorni «Il fatto che tu sia una poliziotta non significa che anche questa volta farai la guardia»
«Come no, Mastah? Io faccio sempre la guardia, Mastah!»
«Lasciamo perdere … dov’è Walter? Dov’è il mio chiccolino di ribes?».
Walter Cam Dorneaz aveva ottant’anni, ma era diventato ufficialmente il “chiccolino di ribes” della casa per via dell’aspetto che aveva quando era molto giovane, tenero e con i capelli scuri e lucidi che somigliavano, per l’appunto, al colore della superficie di una bacca di ribes.
Il maggiordomo spuntò da dietro una libreria, con una faccia tanto triste che sembrava sul punto di staccarsi e spiaccicarsi a terra con un sonoro “splaf”. Non sembrava avere ottant’anni, visto che aveva la faccia tirata, due grandi occhioni azzurri con folte ciglia nere e un fisico da modello indossatore di costumi.
«Sei di nuovo bambino?» Chiese Alucard, indicandolo
«Non sono “bambino”, sono solo giovane»
«Quando la smetterai di regredire? Ormai avrai ottantacinque anni e hai ancora l’altezza di un bonsai … chiccolino di ribes …»
«Non chiamarmi con quello stupido nomignolo!» Walter serrò i pugni con rabbia finché le nocche non gli diventarono bianche «Se lo fai ancora giuro che …»
«Che cosa, mio dolce, piccolo, edibile, chiccolino di ribes? Mi ucciderai?» sollevò le mani come per schermarsi da dei colpi «Oh, che paura, chiccolino di ribes mi assale! Non vorrai mangiarmi!»
«Alucard» Walter aveva il volto annoiato «Sei patetico quando fai così»
«Ah. Beh, senza dubbio, mio piccolo ribes, litigare non ci aiuterà a vincere. Ricordati che adesso viviamo insieme con quei … con quei … mostri di casa Phantomhive. Perciò dobbiamo essere uniti, molto uniti, appiccicati, quasi uno dentro l’altro»
«Alucard, ma ti rendi conto di quello che dici?» Walter, come al solito, cercò di correggere il linguaggio troppo enfatico del vampiro di casa con parole leggermente più consone a quelle del rango di servo della nobile famiglia Hellsing «Non siamo mica scatole cinesi»
«Cosa?»
«Hai detto che dobbiamo stare uno dentro l’altro»
«Sii!»
«Maastah!» gridò Seras, cercando invano di fermare il gigantesco vampiro
«Sii!» proseguì Alucard, con gli occhi rossi spalancati che brillavano nell’oscurità come due fari «Voglio entrare con le zanne nel tuo collo, voglio bucare la tua pelle e le tue vene, sentire il sapore del tuo sangue!»
«Sarà solo succo di ribes» sdrammatizzò Walter, in realtà piuttosto terrorizzato «Niente di che»
«Uhm» Alucard tornò in un istante normale, se normale si può definire il fatto che non riuscisse mai a chiudere del tutto la bocca avendo come risultato di mostrare i denti affilati come se sogghignasse ogni singolo istante della sua vita «Beh, e considerando che dobbiamo essere molto uniti, non sarà bello se ti ammazzo prima dell’alba»
«Oh, questo è senza dubbio un punto a mio favore» Walter si accarezzò il mento completamente glabro «Ma, di grazia, potrei sapere perché partecipiamo a questo reality?»
«Per la somma, eccelsa, volontà del Master Integra Farburke Wingates Hellsing»
«Ah» dissero all’unisono Seras e Walter.
Perché gli ordini del master non si discutono, era ovvio come è ovvia la morte, come è ovvio che nelle vene di Walter non scorreva succo di ribes o che Seras non era una ragazza poco rumorosa. Voi disobbedireste se fosse Dio a ordinarvelo?
Il master dell’Hellsing era la sua coesione, il suo fulcro, e mai nessuno avrebbe osato disobbedire, perlomeno non se ci teneva a non essere umiliato pubblicamente fino alle lacrime e bollato a vita come il debole, il perdente, il traditore. Integra era la forza del gruppo e il leader, sarebbe stata lei a tenere uniti quei tre strani soggetti fino alla fine del reality, quando il migliore, e solo il migliore, avrebbe vinto.

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Kuroshihellsing - Prologo




 
Prologo

The bird of Hermes is my name …

Il primo uomo si fece avanti, alto e pallido, ammantato in un lungo giubbotto rosso guarnito di mantellina, un fiocco scarlatto legato al collo che pendeva mestamente, sfrangiato, simbolo di un’antica nobiltà e di un’eleganza ormai decadute. Braccia lunghe e gambe altrettanto lunghe, ma muscolose, gli davano l’aria di qualcuno anormale, demoniaco, slanciato ma con quelle spalle larghe che avrebbero dovuto pesare parecchio sul suo strano fisico ma che invece rimanevano ben erette, in postura fiera.
L’uomo aveva un volto deciso, dal naso pronunciato, affilato, il mento forte, virile, e un paio di labbra perennemente atteggiate a un ghigno selvaggio ed ampio che mostrava grossi denti dalla forma animalesca. I capelli neri e folti, assolutamente un groviglio spettinato, ondeggiavano alla brezza leggera come se possedessero vita propria.

Io sono un diavolo di maggiordomo …
Il secondo uomo avanzò, battendo i piedi all’unisono con il primo. Era anche lui alto, anche se meno del primo, e dalla pelle chiara, con un corpo longilineo, sottile, e mani aggraziate racchiuse in guanti bianchi. I capelli neri avevano quella pettinatura classica da maggiordomo con i ciuffetti davanti alle orecchie, ma la frangia irregolare, eppure tagliata così intenzionalmente, lasciava sfuggire alcune ciocche davanti alla fronte.
I suoi occhi, grandi e ornati di folte ciglia nere, brillavano di una luce infernale, screziata di porpora, e la pupilla si apriva verticale, nerissima, come un portale su un’altra dimensione.
Indossava un completo da maggiordomo di altri tempi, aderente e scuro, la camicia bianca sotto il vestito nero come le ali di un corvo.

I due si fronteggiavano, sfidandosi con lo sguardo. Entrambi avevano gli occhi di colori caldi e impossibili per essere semplicemente umani.
Entrambi erano demoni. Beffardi, bastardi, opportunisti. Due meravigliosi demoni risaliti dalle profondità infernali per cercare la vittoria … la vittoria … il dominio di …
«Bene, eccovi qui!» La voce della presentatrice, una ragazza, uscì chiara dagli altoparlanti posti in circolo intorno alla stanza ogivale «Eccovi pronti per la sfida del secolo!».
La tensione, nell’aria, era chiara.
«Hellsing contro Casa Phantomhive. Il reality che ci terrà tutti con il fiato sospeso … le prove saranno tante e difficili, vi porteranno a prendere il massimo da voi stessi. E la casa vincitrice del titolo si aggiudicherà la possibilità non solo di rimanere l’unica al servizio di sua maestà d’Inghilterra, ma anche la possibilità di far si che il proprio demone non venga richiamato all’inferno. La squadra perdente perderà anche il suo demone»
«Non tornerò all’inferno» disse Alucard, l’uomo in rosso, con un tono di voce tanto profondo da far rabbrividire, inframmezzato da note metalliche
«Non ci tornerò anche io. Non credete, Bocchan?» Sebastian, l’altro uomo, si voltò a sorridere dolcemente verso il suo padroncino «Dopotutto sono un diavolo di maggiordomo».
La voce della conduttrice ridacchiò
«Vedremo, vedremo … Nel frattempo, benvenuti nella casa in cui trascorrerete un anno di tempo insieme, dove affronterete trecentosessantacinque prove a punteggio che vi permetteranno di scalare la classifica per raggiungere la vittoria. Benvenuti a Kuroshihellsing».


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Ah, lo scontro tra due superpotenze del male!
Da una parte il nero, l'Ombra, il demone. Alato, elegantemente vestito di tutto punto, un perfetto maggiordomo e anche venditore di anime, a vostra scelta.
Dall'altra il rosso sangue, la creatura di Satana, il vampiro. Intrigante, insanguinato - sempre con classe, mica è lordo - accompagnato dai suoi fedelissimi Hellhound, pronti a difendere il proprio padrone contro eventuali nemici, quasi non sapessero che costui non si possa proteggere da solo..

Qui non c'è storia, non c'è gara tra Bene e Male.
Qui si può scegliere solo tra Nero e Rosso.


*Violet-Dragonfly