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venerdì 7 agosto 2015

Capitolo 13 - La sera del giorno dopo

Cap. 13
La sera del giorno dopo

La convalescenza di Seras e quella di Sebastian erano durate per un tempo quasi identico, ovvero fino alle cinque e mezza del giorno seguente. La prova, perciò, era stata rimandata fino a quel momento.
Erano tutti riuniti nella grande sala comune, quella munita di altoparlanti e di tabellone, e mentre gli Hellsing guardavano compiaciuti quest’ultimo, i Phantomhive si tenevano stretti intorno a Sebastian come per proteggerlo da un eventuale altro attacco di quella bestia in rosso che era Alucard.
Dal canto suo, il gigantesco vampiro lanciava continue occhiate eloquenti verso il maggiordomo, cercando di intimidirlo, ma sembrava che insieme alla buona salute, Sebastian avesse riacquistato anche il coraggio.
D’improvviso gli altoparlanti si animarono e la voce della giovane conduttrice risuonò allegra
«Buonasera a tutti, amici miei! Benvenuti alla prova del terzo giorno … una data fatidica, per voi e non solo, perciò abbiamo deciso di rendere abbastanza … speciale anche la prova che dovrete subire. Si, esatto, dovete iniziare a preoccuparvi! Ma prima vorrei sincerarmi delle vostre condizioni di salute, ho saputo che ieri c’è stata una scaramuccia non di poco conto, insomma, le immagini mostravano sia Sebastian che Seras con le gambe spezzate. Vista la vostra tempra ferrea, di sicuro, il danno non è permanente, tuttavia vorrei sapere da voi se vi sentite pronti per la prova».
Seras balzò agilmente in piedi, poi saltellò sul posto, ondeggiando come un grosso budino vestito di giallo
«Io sono sana come un pesce!» gridò, tutta felice, poi lanciò un’occhiata acida a Sebastian «Ma spero che quel cattivone di Sebastian stia ancora male come quando il Mastah ha iniziato a rosicchiarlo»
«Mi dispiace per te» rispose il maggiordomo, passandosi un’esile mano guantata fra i capelli «Ma anche io ho una ripresa piuttosto veloce».
Alucard digrignò le zanne e si abbassò come se le spalle gli pesassero troppo
«Vuoi che ti faccia male di nuovo? Se ti esaurisco tutte le energie dubito grandemente che tu riesca a riprenderti … intendo, se io ti picchiassi di nuovo come ieri il tuo potere rigenerativo non ti permetterebbe di certo di rimetterti a posto in un giorno»
«Come puoi saperlo?» Sebastian era ironico
«Lo sento, sento che stai male, che stai soffrendo» Alucard emise uno sbuffo fra i denti, un verso animalesco, e sollevò entrambe le sopracciglia assumendo un’espressione folle «Io mi nutro di dolore, io mi nutro di paura, oltre che di sangue ovviamente. Oh, ma il sangue è espressione della nostra vita e il suo sapore è influenzato dalla paura e dal dolore, dalle secrezioni che il nostro corpo rilascia per calmarci o per avvertirci quando si soffre»
«Ma come puoi sapere quali sono le mie secrezioni?» Sebastian alzò fieramente il mento «Io non sono umano».
La servitù dei Phantomhive si allontanò leggermente dal maggiordomo: loro avevano sempre sospettato che Sebastian non fosse umano, ma non ne avevano mai avuto una conferma così diretta.
Alucard rise piano
«Io so tutto di te, sei un moccioso fra i demoni, Sebastian»
«Ohi ohi, potrei essere perfino più antico di te, lo sai?»
«Ah, ne dubito. Ai miei tempi uno come te se lo sarebbero mangiato i poveri per mancanza di cibo».
Le due creature demoniache si guardarono negli occhi. Sebastian distolse lo sguardo, come se fosse disgustato, e sospirò
«Allora, quale sarebbe la prova di oggi?»
«Non ve lo dirò ancora» la voce della conduttrice sembrava profondamente divertita, aveva assunto un’inflessione che a Sebastian non piaceva «Piuttosto ho notato che ieri sera vi sono stati dei fatti curiosi»
«Si!» Bard stava quasi per mettersi a piangere ed indico le sue occhiaie profonde «Ieri sera hanno fatto festa! Per tutta la notte! Tutta! Come si fa a dormire? Come si fa? In questa casa non si può riposare … come fate?» il cuoco Bardroy fece un passo verso Integra e la puntò con rabbia «Come diavolo fai a stare così bene se non dormi la notte? Sei fatta d’acciaio? Sei anche tu un vampiro? Che cosa sei? Parla, parla, parla!».
Integra si tolse il sigaro dalle labbra con calma, guardò Bard con aria di superiorità, poi sorrise
«Faccio il pisolino pomeridiano» rispose.
Fu come se il gelo fosse calato sulla stanza, un gelo da lungo inverno russo. Walter e Alucard iniziarono a ridere, poi il vampiro battè due volte le mani
«Il mio master è un genio!» tirò fuori la grossa lingua rossa, lunga il doppio di quella di un normale essere umano «E voi siete solo dei poveri sfigati che non approfittate della giovane notte per godervi la vita! Ah ah!»
«Bene» tornò a parlare la conduttrice «Ora vorremmo sapere, Alucard, come diavolo hai fatto a introdurre un impianto stereo in casa».
Di nuovo il gelo. Stavolta Sebastian sorrise
«Ohi ohi, mi sa che sei nei guai, Alucard»
«Può darsi» il vampiro non si perse d’animo e gonfiò il petto «Ebbene, io e Walter abbiamo costruito quell’impianto stereo!»
«Due punti in più all’Hellsing, per spirito di iniziativa e capacità manuali!» fece la voce della conduttrice, allegramente «Scommetto che è stato Walter a fare tutto, ma bravo lo stesso, Alucard»
«Troppo buona» commentò Walter, mentre il gigantesco vampiro sghignazzava fissando Sebastian come per dirgli “ehi, ti ho beffato anche questa volta!”
Il tabellone dei punteggi fu immediatamente aggiornato:
Hellsing - 9 punti
Phantomhive – 2 punti.
Ciel divenne rosso di rabbia e pestò il bastone su un piede di Sebastian, caricandosi con tutto il peso del corpo in modo da fare male
«Buono a nulla!» gridò forte «Scemo che altro non puoi essere! Com’è possibile che abbiano tanto vantaggio su di noi? Sei un idiota! Un vero incapace! Un  … un … non vale nemmeno la pena che io mi sgoli per capire quanto sei idiota. Sebastian, trovati da solo degli aggettivi infamanti, è un ordine!»
«Si, Bocchan … sono riprovevole, vile, menzognero, inutile, basso, ignobile, spregevole, meschino …»
«Va bene così, Sebastian. Adesso, vile, cerca di vincere la prossima prova che ci verrà proposta oppure non credo proprio che rinnoverò i termini del nostro contratto».
Sebastian era raggelato: se Ciel avesse rotto i termini del contratto, lui avrebbe faticato fino a quel momento, umiliandosi, per nulla! Lui doveva ottenere l’anima di Ciel, era categorico.
Alucard ridacchiò
«Oh oh, a quanto pare il mio padrone, anche quando mi picchia mi tratta meglio …» disse, accarezzandosi il mento fra pollice e indice, con aria furbesca
«Ma certo, ma certo, vampiro mio» Integra gli cinse la vita con un braccio, un gesto dall’apparenza piuttosto possessiva «Quel nanerottolo non dovrebbe neppure poter essere chiamato Master!».
Ciel saltò su, arrabbiato, e pestò i tacchi delle sue spesse scarpe dalle suole di legno con i fiocchetti in cima
«Come ti permetti, sgualdrina!» ruggì «Non osare paragonare il mio modo di dirigere la squadra con il tuo! Tu e quel mostro siete, siete … Sebastian, trova degli aggettivi infamanti, subito!»
«Riprovevoli» disse il maggiordomo «Disgustosi. Non sembrate neppure master e servo»
«Davvero?» Alucard battè le palpebre «Io ho sempre avuto l’impressione di essere piuttosto sottomesso. Non è vero Integra, che sono sottomesso?»
«Ma non come Sebastian» Lady Hellsing, mentre rispondeva, spense il sigaro sul petto di Alucard, che rimase completamente immobile anche mentre la sua camicia veniva bruciata e la pelle toccata dal fuoco «Alucard, tu sei il servo perfetto. Servizievole, sicuro, e sottomesso, ma non sei così disgustosamente viscido»
«Hai sentito» il gigantesco vampiro in rosso gongolava «Io sono il servo perfetto!».
Poi qualcosa cambiò nel suo volto. Gli occhi si spalancarono, i denti si misero in mostra
«Tu» disse, rivolto a Ciel «Hai dato della sgualdrina al mio master? Piccolo bastardo, ora ti faccio vedere io … come se tu non fossi uno sgualdrino!».
Integra diede una pacca sul fianco al vampiro
«Lascialo stare, è solo un bambino che non sa quello che dice. Penso che a questo punto ci siamo chiariti, la terza prova può aver luogo, non trovi?»
«Sicuro, Master» Alucard si calmò all’istante e sorrise, quasi amichevole «E adoro quando mi abbracci»
«Io non ti sto abbracciando, io sto rivendicando il mio possesso su di te»
«Sei sempre così crudele, Master … cavolo, per questo mi piaci!».
La voce degli altoparlanti si animò di nuovo.


Capitolo 12 - La breve convalescenza di Sebastian

Cap. 12
La breve convalescenza di Sebastian

Sebastian era riuscito a trascinarsi faticosamente fino agli alloggi della famiglia Phantomhive e lì si preparava a capire che cosa diavolo avrebbe dovuto fare per gestire al meglio la famiglia. Come avrebbe potuto lavorare come maggiordomo, come avrebbe potuto dare il meglio di se, ridotto com’era?
Il sangue gli colava dal petto squarciato, la camicia bianca come il latte era stata aperta, la stoffa pendeva slabbrata. Sulla carne nuda, proprio in mezzo ai due pettorali, c’era il segno di lui : il suo morso, la forma dei suoi grossi denti conici impressi a fondo nel muscolo rosseggiante.
Gli erano state spezzate entrambe le gambe, Sebastian ricordava ancora i colpi di quelle dita enormi, il modo in cui, abile, era andato a trovare i legamenti ed a spezzarli. Era stato con intelligenza, con freddezza, che lui aveva colpito, con la saggezza secolare di un uomo che è abituato a stroncare vite, a fare male prima di uccidere, a torturare. Era stato terribile, Sebastian non aveva mai subito qualcosa del genere, non aveva mai combattuto contro un demone di quella potenza … ma quale combattere? Non aveva avuto neppure la possibilità di difendersi. Non era stato perché Alucard fosse un miliardo di volte più forte di lui, no, Sebastian sapeva bene di avere una potenza quasi pari a quella del nemico, ma ciò che era accaduto, il modo in cui lui si era trasformato … era veramente orribile e non era neanche lontanamente umano, ma non somigliava nemmeno a quello che lui sapeva essere l’aspetto possibile di un demone.
Bard fu il primo a trovare il corpo devastato di Sebastian che si trascinava sul pavimento lasciando dietro di se una stria scarlatta
«Sebastian-san!» urlò, alzando le mani e mettendosele nei capelli «Che cosa è successo?»
«Ah …» il maggiordomo inclinò la testa da un lato con fare amabile mentre un rivoletto rosso gli scorreva dall’angolo della bocca «Non devi preoccuparti, guarirò … ma non so se per oggi sarò in grado di prendermi cura di voi»
«Prenderci cura di noi?»  Bard aprì la bocca tanto che la sigaretta gli cadde per terra, poi si sedette per terra di lato a Sebastian «Ehm … posso aiutarti?»
«Oh ohi … temo di si, Bardroy» Sebastian tossicchiò e un grumo di sangue toccò il pavimento, lasciando una macchia scura sulla morbida tappezzeria.
Bard si rialzò e con se trascinò anche Sebastian, scoprendo che se premeva i piedi del maggiordomo contro il terreno gli sentiva i legamenti molli … come se avesse la gambe spezzate. Per la sorpresa, quasi, lasciò andare Sebastian, poi però si riebbe e lo aiutò ad entrare nella camera da letto di Ciel. Purtroppo il letto era stato distrutto, perciò dovettero distendere Sebastian sul tappeto persiano.
Bard andò a chiamare  gli altri della servitù e tutti si radunarono intorno a Sebastian. Meirin si tenne gli occhiali sul naso ben stretti e cercò di nascondere le lacrime. Sebastian, come poteva essere che fosse ridotto a quel modo?
Quanto a Finnian, lui sembrava stranamente avere altro per la testa, o forse, semplicemente, era troppo scioccato da quanto era accaduto per riuscire ad avere un qualche tipo di reazione. Inoltre sapeva bene che reagire, per lui, significava solo causare guai. Lo sapevano bene tutti quelli che lui conosceva quanto potesse essere distruttivo, quanto la sua forza potesse rompere indiscriminatamente ciò che dovrebbe e ciò che non dovrebbe infrangere. E ora che vedeva Sebastian riverso nel sangue, così orrendamente ferito, forse non aveva il terrore di potergli fare ancor più male?
Poi arrivò Ciel e fu come se la dimensione tragica dell’accaduto perdesse tutto il suo significato.
«Sebastian … Sebastian, ti sei fatto picchiare in quel modo?» Chiese Ciel, forse leggermente impressionato dalla presenza di tanto sangue ma di certo non preso dalla compassione per il suo maggiordomo. Forse credeva che le sue risorse fossero infinite? Che egli non dovesse temere alcuna ferita? Si, era probabile, visto che lo guardava con un’aria di così sprezzante superiorità che non si poteva credere di scorgere anche solo un vago offuscamento di compassione nel suo unico occhio blu.
Sebastian sbattè le lunghe palpebre
«Mi dispiace, Bocchan, è veramente penoso» »
«Si, Sebastian, è penoso. Ti ha persino morso»
«Oh, non preoccupatevi, Bocchan, non diventerò un vampiro»
«Ci mancherebbe anche questo, Sebastian, che tu morissi. Scommetto che come vampiro saresti una mezza cartuccia, molto peggio di come sei adesso»
«Pensi che io sia una mezza cartuccia, Bocchan?»
«Beh, diciamolo chiaramente: mi avevi detto di essere il migliore, che avresti fatto tutto ciò che ti avrei ordinato. Ma ti mando a fare qualcosa di semplice e tu torni … così?»
«Mi dispiace, Bocchan» Sebastian chiuse gli occhi e tirò un profondo respiro «Ho fallito miseramente, lo so già. E per giunta non potrò prendermi cura di voi …»
«Per quanto tempo?» Ciel era proprio senza cuore, a quanto pareva
«Tempo? Una sera, forse anche domani mattina. Non sono ferite che guariscono in un giorno solo, tuttavia farò in modo di velocizzare la mia guarigione per quanto mi sia possibile»
«Si, Sebastian, si …»
«Ma per fare questo dovrei … nutrirmi di un’anima»
«Non posso dartene alcuna, Sebastian» Ciel colpì  con il bastone la testa sporca di sangue di Sebastian «Credo che dovrai accontentarti di quel poco cibo umano che rimane nella nostra dispensa»
«Ma noi e gli Hellsing non abbiamo comune dispensa?»
«Si, ma loro hanno nascosto il cibo, se lo sono portato via nei loro alloggi» Ciel chiuse i piccoli pugni racchiusi in morbidi guanti di pelle bruna «Quei bastardi ci stanno dando più rogne di qualunque altro avversario. E tu hai fallito nel cercare di sabotare il loro rifugio»
«Veramente …» Sebastian, anche con il volto ricoperto di sangue, parve illuminarsi « … Ho distrutto la bara di Alucard. Credo che sia un successo, sotto questo punto di vista».
Ciel lo fissò con l’unico occhio blu «Davvero?»
«Si, Bocchan»
«Beh» sbuffò «Almeno qualcosa l’hai fatta»
«Ho anche … lasciamo perdere» stava per dire “Ho anche messo K.O. la vampira” ma sapeva che i vampiri si rigenerano in fretta. Non sarebbe servito a nulla.
«Non hai fatto nient’altro. Rimettiti o muori» fece Ciel e se ne andò con dignità.
Non appena il Bocchan fu fuori dall’uscio, i tre si buttarono addosso a un Sebastian agonizzante e cominciarono a piangere a dirotto
«Sebastian-san!»
Nel frattempo …
Seras, incapace di fare altro, alzò una mano. Non riuscì neppure a mugolare, ma si sentiva malissimo.
Sillabò silenziosamente «Mastah, aiuto» e lasciò ricadere la mano fredda.
Alucard si avvicinò, interessato.
«Police Girl?»
Lei rimase così, con la testa china e la schiena contro la parete, come Alucard la prima volta che incontrò Integra-chan. Per così dire.
L’enorme vampiro in rosso si chinò su di lei, e si accorse (com’era interessato …) che la sua gola era squarciata. Corde vocali: off limits. Gambine: off limits. Cervello: off limits. Ma quello già da prima, a dire il vero.
«Sei mezza morta … ah, sei mezza morta!»
«Giusto» mimò Seras con le labbra, senza dire niente. Per sua sfortuna, il Master non capiva il labiale
«Cencio? Quale cencio?»
«Giusto» ripetè la vampira
«Ah, lulo! A me lulo? Ma quelle che non t’ha dato Sebastian ti do io! A proposito … che significa lulo?»
La vampiretta mimò di scrivere a mezz’aria la parola, ma visto che la sfiga più totale si accaniva su di lei, aveva una pessima scrittura e non si capiva nulla a mezz’aria
«D … u … s … t? E la o che c’entra? Dusto?»
Lei scosse la testa, poi alzò le mani e guardò il Master con aria seria. Contò sulle dita il numero di lettere della parola “Giusto” e le mostrò al Master
«Sei lettere? Ok» fece lui, fregandosi le mani
La Police Girl fece dapprima una “c” con una mano, aggiungendo poi sull’estremità inferiore un pezzo di indice per fare la “G”
«Ah, questa è una g!»
Lei alzò un indice
«Questa è una i»
Si grattò la testa, confusa, poi mise pollice e indice di entrambe le mani a C rivolte verso destra e sinistra, poi le unì
«Cos’è ‘sta cosa?»
Seras insisté, speranzosa. Poi si indicò e fece segno di uno sulle dita
«Tu, uno?»
Seras scosse la testa. Si indicò, poi segno a mezz’aria cinque lettere, poi abbassò le dita fino a lasciare solo il mignolo in alto 
«Tu, cinque lettere e una? Ah, tu sei Seras …» La vampira annuì con vigore «E quella è una s!» gli occhi di lei brillarono. Poi si riscosse e cominciò.
Mise una “i” con un indice sopra fino a sembrare una “t”, cosa che Alucard decifrò subito, poi fece il segno dell’ok, per indicare la “o”, cosa più semplice da interpretare.
«Giusto!» esclamò Alucard «Ma giusto … giusto perché?»
Seras si accasciò di più a terra.
«Non fare così, lo sai che ho la memoria corta» e detto questo la prese in braccio e la buttò nella sua bara «Chiamo Walter. Io che ne so che ti devo fare?»
Seras annuì.
Contemporaneamente, Sebastian era riuscito dopo innumerevoli sforzi (ritornavano sempre all’attacco) a togliersi di dosso i tre servi che continuavano a buttarglisi addosso urlando «Sebastian-san!» e piangendo la loro riserva infinita di lacrime.
«Scusaci, Sebastian-san!» dissero infine
«Sto. Morendo» scandì Sebastian, sorridendo in modo atrocemente gentile «E voi vi buttate addosso?»
«Ah! Sta morendo!» cominciò a urlare Finnian, abbracciando Meirin che abbracciò Bard. 
«Abbraccio di gruppo!» singhiozzarono tutti e si ributtarono su Sebastian. Lui lanciò un gridolino di esasperazione.
Sarebbe stata una lunga, lunga, lunga convalescenza …
I servi della famiglia Phantomhive si prodigarono per fare avere al maggiordomo tutto ciò che gli potesse occorrere: abbondante cibo, preso da quel poco che rimaneva in dispensa, acqua fresca e vestiti puliti. Sebastian ordinò loro di lasciarlo solo e, nonostante quelli fossero riluttanti, riuscì ad ottenere anche questo favore, sospirando di sollievo. Lentamente si tolse quello che rimaneva della sua bella camicia e dei pantaloni sporchi, mostrando un paio di boxer aderenti decorati sul retro con lo stemma della famiglia Phantomhive stampato in bianco ed oro. Il sangue gli tingeva di rosso i polpacci sottili ed entrambe le gambe avevano assunto un’angolatura strana. Ah, era quasi come vedere che sotto la pelle i tendini erano stati spezzati.
Sebastian si passò un dito sul ginocchio destro
«Ohi ohi» mormorò, poi aggiustò entrambe le gambe in una posizione più consona ed attese qualche secondo, forzando il proprio corpo a guarire.
I legamenti dentro di lui si saldarono, un calore soffuso e benefico si irradiò laddove prima c’era solo il bruciore infernale della devastazione. Sebastian, seppure avesse le gambe a posto, sapeva di essere ancora molto malato, peggio che ferito: per risanare i tendini strappati aveva dovuto impiegare un enorme quantitativo di energia.
Sospirando si rialzò in piedi. Barcollò fino a finire con una spalla contro la parete ed emise un gemito nel sentire quella superficie così fredda a contatto con la pelle nuda.
Staccandosi dal muro, prese i vestiti stando ben attento a non sporcarli con il sangue che ancora gli scendeva a rivoletti dai buchi sul petto e si diresse verso la stanza da bagno per detergersi. Si sentiva così terribilmente insozzato, non poteva sopportarlo!
Quando fu uscito dalla stanza da bagno sembrava rinnovato, un fiore pallido ancora in boccio. Eppure, sotto l’apparenza sana, si nascondeva una spossatezza terribile e la paura di essere attaccato di nuovo: se Alucard avesse sferrato in quel preciso istante il suo secondo attacco, il maggiordomo dei Phantomhive non avrebbe avuto la benché minima possibilità di sopravvivere.
Così Sebastian si avviò verso la cucina e preparò la cena, stringendo forte le labbra di fronte alle strazianti fitte di dolore interno dei suoi muscoli provati. Ciel gli si avvicinò
«Sebastian, ti sei ripreso?»
«Si, my lord» il maggiordomo mentì, non aveva altra scelta «Sono pronto»
«Bene, Sebastian. Allora preparaci da mangiare».
Sospirando, il servo obbedì al suo padrone, ma quella notte, quando tutti andarono a dormire sui tappeti (visto che i letti erano stati accuratamente distrutti), lui non rimase come al solito in piedi per programmare le attività del giorno seguente, crollò come morto, perinde ac cadaver, e dormì pesantemente.
Dalle stanze degli Hellsing, nel mentre, proveniva il frastuono infernale delle voci di gente che si diverte. A quanto pare Alucard aveva organizzato un rave party.


lunedì 3 agosto 2015

Capitolo 11 - Sabotaggio reciproco (primo tentativo)

Cap. 11
Sabotaggio reciproco (primo tentativo)

Dopo un secco ordine di Ciel, che non aveva affatto intenzione di rovinarsi i vestitini nuovi, Sebastian si accorse di essere un maggiordomo demoniaco e che a due passi c’era un estintore che balzando poteva raggiungere facilmente.
Saltò con eleganza in mezzo ad «Ave Maria!» (erano nel bel mezzo di una preghiera) di estrema approvazione e ammirazione, prese con le sottili dita l’estintore e lo usò contro le fiamme, mentre Bard piangeva e tossiva, forse preso dal rimorso, forse assorbito da una triste crisi di esistenza. 
Elizabeth scese con un balzo dal tavolo e adornò l’estintore in due secondi di un fiocco rosa brillante alto quanto Sebastian e largo quanto il Maggiore (altro personaggio di Hellsing) e ridacchiò con la sua strana vocina canticchiando la terribile canzone “Kawai”.
«Bard» esclamò, serio Sebastian, quando l’incendio fu completamente spento «Il tuo comportamento è stato riprovevole! Tutti vi comportate come se foste una massa di Plu Plu! Volevo dire» si corresse «di temibili Makenna! Ciò non si addice alla servitù dei Phantomhive, e rischi di essere licenziato se continui così, per tanto non riceverai sostentamento e rimarrai nella terra di nessuno, per sempre costretto a camminare nella linea di mezzo …» indicò con il dito lungo e sottile, mentre cameriera e giardiniere trattenevano il respiro, il confine lucente dei Kuroshitsujiani che separava la loro parte di casa, di loro appartenenza per un tacito accordo, da quella oscura degli Hellsing «… Tuttavia non riesco a comprendere cosa vi manchi» si portò una mano sotto il mento e chiuse gli occhi con aria pensosa «Ricevete cibo a volontà, interagite come dovrebbero fare gli esseri umani, bevete, dormite, potete svagarvi come più vi piace … cosa vi manca ancora?»
I tre si guardarono negli occhi.
Tutti sapevano cosa gli mancava
“Fame! Fame tremenda! Si avventò sul piatto tentando di sottrarlo a colui che se lo sbafava, ma venne violentemente respinto”
“«Sapete» fece Meirin «A volte mi manca la compagnia di altri. Non entra mai nessuno qui!».
Gli altri annuirono, con aria grave
«Siamo solo noi tre normali, poi c’è Sebastian-san, il Bocchan e di tanto in tanto la sua fidanzatina. Madame Red è morta (non che la volessi tra i piedi, se permettete)e ogni tanto arriva quel coso, là, Grell. Sebastian-san è terrorizzato da quello sconcio. Ah, sto impazzendo!» urlò Finnian, mettendosi le mani fra i capelli e chiudendo gli occhi con aria sofferente.
Bard annuì di nuovo”
“Erano disidratati, buttati in un angolino come scope. Alzarono tutti e tre la mano, contemporaneamente «Sebast … Sebastian-san». Quello non li degnò di uno sguardo”
“Quella notte la passarono insonne. Fra il Bocchan e Lizzie che strillavano, non era propriamente una bella notte, non per dormire. Stavano schiattando. Erano al limite. Presto sarebbero stati preda di una fortissima crisi isterica e si sarebbero uccisi a vicenda.
«Champ, champ, champ» iniziò a dire ritmicamente Finnian.
Così, senza un motivo”
“«No, no, non toccare!»
«Non puoi!»
«Che comportamento riprovevole!»
«Sei un disonore per l’antica casata dei Phantomhive!»
Erano diventate frasi ricorrenti. Mogi mogi, seguirono il maggiordomo che parlottava con Ciel di cose che non suscitavano in loro una briciole di interesse”
Avevano tutto, diceva lui?
Finnian fu preso dall’isterismo acuto «Ci manca tutto! Siamo affamati, tra un poco autistici, disidratati, stanchi, assonnati e stiamo per diventare pazzi!».
Bard e Meirin trattennero il fiato, in attesa di una sfuriata di Sebastian.
“Gliela devo fare pagare” pensò il maggiordomo “Ma se sono ridotti così male non possono che rappresentare uno svantaggio. Per ora li aiuto, a casa li ammazzo di botte”
«Bene, Finnian. Tu sostieni che noi non vi diamo abbastanza» iniziò Sebastian, mentre il cuoco e la cameriera tremavano e sudavano freddo «Allora vi fornirò ciò che desiderate. Chiedete, su!»
Gli occhi dei tre si illuminarono mentre si sporgevano verso il demone «Grazie Sebastian-san!»
«Io …» disse Bard
«… Ho» continuò la cameriera
«Fame!» completò Finnian massaggiandosi lo stomaco brontolante.
Lui, gli sorrise, socchiudendo gli occhi in uno sguardo gelido nonostante il sorriso sdentato «Bene. Andiamo. Bocchan …»
«Andiamo, Sebastian» acconsentì il bambino mentre Lizzie saltellava dietro di lui, poi lo sorpassò e cominciò a correre verso la sua camera.
Mentre i Kuroshitsujiani si dirigevano verso la cucina si udì un urlo, acuto, trillante, inconfondibile.
«Lizzie!» strillò Ciel «Veniamo a salvarti! Sebastian!» e detto questo cominciò a correre verso la camera della ragazzina.
I tre rimasero impalati in cucina. Poi iniziarono a far fuori tutto ciò che trovarono
«Farina!» esultò Finnian, versandosi il pacco, con tutta la carta, in bocca
«Uva sultanina!» gioì Meirin, più fortunata, che fece scomparire in un nano-secondo o giù di lì la prelibatezza
«Ciliegie!» urlò Bard, facendo si che queste facessero la stessa fine dell’alimento trovato dalla cameriera. Ovviamente, non pensarono neppure di fare cucinare Bard, il cuoco. Non volevano rischiare un intossicazione alimentare.
Nel frattempo, Ciel e Sebastian fecero irruzione nella camera di Lady Middford che, singhiozzando, era riversa su un brandello di stoffa nel caos più totale.
La scritta a mò di festone cartaceo che una volta era “kawai” adesso era una “i” sbilenca, attaccata solo da un lato con dello scotch al e penzolante nel vuoto. Il resto giaceva per terra con grossi buchi che lo deturpavano per l’eternità.
Gli orsacchiotti rosa, che una volta erano teneri e morbidi, sembravano piccoli zombie, con l’interno per la maggior parte riverso nella parte esterna, come una raccapricciante mostra di organi interni e lo stesso orsacchiotto che aveva guardato Sebastian con occhi vitrei, era un torso privo di testa e arti. L’ammobilio intorno era completamente distrutto, con i ragni rosa fluo che fuggivano dalle loro ragnatele rosa shocking.
Il mobiletto rosa che conteneva gli effetti personali di Elizabeth era un’anta che stava magicamente in piedi. A uno starnuto di questa, cadde per terra. I quadri, per esempio “La Gioconda”, che aveva dei denti alla “Grell e\o Grelle Sutcliffe” fatti con il bianchetto e un colore a spirito nero, o gli occhi rossi e i baffi alla Vladcard, alias Vlad Dracula III di Valacchia. Gli altri avevano facce mostruose rifatte con il pennarello, senza contare i disegni della piccola nobile con tutti i personaggi con un buco nel cuore e del sangue. Vero, che impiastricciava il disegno.
I vestiti, la cosa che Lizzie aveva adorato di più, erano brandelli che sembravano strappati da un cane rabbioso e quello più intero era una specie di lavoretto di carte come quelli dei cartoni animati: un sacco di omini tutti in fila che si tenevano per mano. Se ne distingueva uno che aveva qualcosa di strano in testa e che gli usciva dal lato destro della faccia. Bhè, dalla scritta che aveva (“Master”) si può capire che le cose in testa erano i ciuffi impossibili della pettinatura e la cosa era una sigaretta.
Elizabeth giaceva scomposta a terra, ondeggiando in preda a un attacco di chissà cosa, piangendo a dirotto.
«Se-sebastian» mormorò Ciel «Cos’è questo?»
«Non lo so, Bocchan» ammise, incredulo, il maggiordomo con sincerità
«Sebastian!» Ciel ebbe un’illuminazione «Tu consola Lizzie. Io devo controllare una cosa!» scappò via, mentre il maggiordomo demoniaco si chinava su Elizabeth e si disgustava da solo dicendo un mucchio di cose sdolcinate che gli fecero ribrezzo.
Poco dopo si udì un urlo, acuto, trillante, inconfondibile.
«Bocchan!» si alzò fulmineo e fuggì, lasciando una sbalordita Lizzie sul pavimento, ma ormai consolata,
Quando Sebastian entrò nella stanza vide che, anche lì, tutto era distrutto. La preziosa tazzina porta-fortuna del Bocchan era a terra e ne restava … un buco.
Sul lettone matrimoniale di Ciel vi era l’impronta di due enormi piedi che avevano curvato il letto verso il basso, con le estremità che ricordavano quelle di una nave spezzata che sta affondando rapidamente. Le tende erano bucherellate e in una c’era persino segno di un morso di una bocca enorme.
Ciel giaceva a terra e ondeggiava. Forse era indemoniato.
Dalle stanza della servitù (dopo che si erano saziati mangiando tutto erano tornati nelle loro camere) si udirono tre urli in rapida successione.
Sebastian si mise le mani fra i capelli e si sentì sollevato perché lui non aveva la camera. Ma si sentì morire perché gli altri non sapevano riordinare le camere.    
«Gliela farò pagare … gliela farò pagare» Mormorò, riferendosi all’autore del disastro.
Qualcuno aveva cercato di sabotare le loro esistenze … ma chi? Chi poteva avere una bocca come quella che si era mangiata le tende e gli orsacchiotti? Chi poteva avere quei piedi enormi, quegli stivali sporchi che avevano insudiciato il copriletto prima di distruggere del tutto la struttura portante del letto?
Sebastian aveva in mente un solo nome: Alucard.
Così, il meraviglioso, efficientissimo, maggiordomo di casa Phantomhive si organizzò mentalmente per rendere pan per focaccia all’orribile torto subito, all’onta di vedere il proprio padroncino straziato dal dolore, sul pavimento, povero bambino indifeso!
Sebastian strinse gli occhi e nelle sue iridi comparve il riflesso di fuoco delle fiamme cremisi, le fiamme inestinguibili dell’inferno che contornavano una ferina pupilla verticale.
La luce non si rifletteva più sui suoi occhi, essi brillavano di luce propria, grandi e terribili nella loro rabbia sanguinaria. Forse Alucard, per quanto potente, aveva sbagliato nel cercare di sabotare l’esistenza dei Phantomhive.
«Bene» Mormorò Sebastian «Adesso cerchiamo di mettere un pò a posto questa casa … poi vedremo il da farsi».
Ciel sembrò riaversi un poco, rialzando la testa da terra. I suoi capelli erano sporchi di polvere e di granelli di roba bruciacchiata, oltre che di pezzi di spugna fuoriusciti dai ventri strappati degli orsacchiotti di Peluche.
Sebastian prese il suo piccolo padrone fra le braccia e lo sollevò da terra con delicatezza
«My lord, state meglio?»
«Si, Sebastian» la voce di Ciel era rotta e sottile «Ma i nemici pagheranno, la pagheranno cara … è un ordine, Sebastian, va a fare a loro quello che loro hanno fatto a noi»
«Ma, Bocchan … le nostre stanze sono ancora disordinate …»
«Non mi interessa» Ciel scosse la testa con convinzione, poi si portò una mano alla benda «Non costringermi a ricordarti i termini del nostro patto, Sebastian. Non costringermi …»
«Certo, Bocchan» con delicatezza, il maggiordomo posò il corpo esile di Ciel sopra all’unica sedia intatta, poi sfrecciò fuori.
Doveva essere pronto a tutto, non sarebbe stato facile. A volte Ciel non era molto intelligente: aveva ordinato a Sebastian di andare a distruggere le camere degli Hellsing proprio mentre i padroni, come si usa dire, erano dentro casa. No, non sarebbe stato affatto facile …
Come un ninja, Sebastian si nascondeva dietro gli angoli, appiattendosi. Saliva le scale agile, a lunghi passi ed a due gradini alla volta, poi di nuovo si mimetizzava dietro le pareti, si abbassava, ascoltava, si muoveva in punta di piedi, silente come un’ombra. Sarebbe stato un magnifico assassino, se mai quella fosse stata la sua professione.
Ma lui aveva scelto di essere un maggiordomo e questo, per lui, significava essere tutto per il suo Bocchan: che fosse cuoco, che fosse spazzino, che fosse assassino, lui doveva impegnarsi per trasmutarsi ed essere ciò che gli veniva ordinato di essere. Adesso doveva essere un sabotatore e si era calato con serietà nella parte.
D’improvviso, mentre era schiacciato contro un muro come tappezzeria, udì la voce del grosso vampiro in rosso parlare da dentro la stanza
«Gli ho giocato proprio un bello scherzo …».
Sebastian serrò le labbra. Lui, era stato lui, Alucard a distruggere i loro alloggi! Ben attento a non farsi scoprire, Sebastian si fermò e premette l’orecchio contro il muro: aveva un udito molto acuto e per lui origliare significava, molto probabilmente, carpire informazioni di importanza vitale.
«Ah, senza dubbio … si, Master …»
«Sei stato molto bravo, Alucard. Sento da qui le loro urla di disperazione» Questa, invece, era la voce di Integra, profondamente compiaciuta
«Oh, anche io le sento. Ho distrutto tutto ciò che a loro era più caro. Ah, questi materialisti!»
«Intendi dire che noi non lo siamo?» adesso la donna sembrava divertita
«Se anche dovessero distruggere la mia stanza e fare a pezzi la mia bara dubito che mi dispererei come stanno facendo quei patetici soggetti. Siamo sempre insieme, no? Io e te. Non mi serve nient’altro per essere felice».
Sebastian fece un’espressione disgustata. Aveva dato a loro, ai Phantomhive, dei materialisti? E quell’uomo tanto grande e grosso, così malvagio e orribile, stava davvero facendo una così stucchevole dichiarazione d’affetto al suo Master? Un Master ben poco raffinato e bello, a dire il vero, Sebastian credeva che non ci fosse confronto, esteticamente, fra Ciel e Integra. Ma era evidente che le idee di Alucard erano ben altre …
«Davvero?» Lady Hellsing emise una breve sequenza di risa piene «Sai, sei un pò troppo tenero, a volte, per essere un vampiro»
«Non dovrei?»
«È una di quelle cose di te che mi piace di meno»
«Oh» Alucard sembrava altrettanto divertito, quando invece avrebbe dovuto essere deluso «A te piace la parte di me più sadica? Quella che distrugge, quella che mutila?»
«A me piace la parte di te che ci fa vincere» ribatté Integra «Credo che tu abbia capito di che cosa sto parlando»
«Si, Master. Ti piace la parte di me che mi ha spinto a distruggere le miserabili vite materialiste dei nostri nemici?»
«Esatto, Alucard, esatto …»
«Credevo che tu adorassi di me anche le mie …» sussurrò qualcosa, poi riprese «Ad ogni modo credo che per questo argomento ci sarà tempo …»
«Declama pure adesso»
«Parole, parole … ah, non è facile non avendo nulla su cui poetare»
«Potresti poetare, per esempio, sul maggiordomo che ci sta ascoltando in questo momento» Integra iniziò a ridere.
Sebastian sfrecciò via verso le dimore dell’Hellsing, incredulo. Come diavolo aveva fatto quella diavolessa a scovarlo? Aveva una vista a raggi X? E se anche così fosse stato, come cavolo aveva fatto a sapere esattamente dove guardare? Neanche con un super udito si sarebbe potuto intercettare un uomo così silenzioso come lo era lui.
Alucard si grattò una tempia
«Quale maggiordomo?» chiese
«Niente» Integra si tolse il sigaro dalle labbra «Dicevo così per dire. Ma se ci fosse stato un maggiordomo, intendo, insomma, Sebastian, tu lo avresti distrutto, vero?»
«Sicuro, mio Master. Avrei preso il suo esile corpo e lo avrei reso ancora più esile … se tu avessi voluto avrei lentamente smerigliato la sua pelle fino ad esporre le ossa e lucidarle. Dopotutto i demoni sono molto resistenti, non si uccidono facilmente. Ma io … io lo avrei ucciso, avrei preso la sua anima piena di altre anime, gli altri scambi … ecco, forse è questa la differenza fra me e lui, che lui, gentile e subdolo al tempo stesso, ruba le anime delle sue prede attendendo, preparandosi, circuendo la sua preda, servendola, allettandola, e poi, alla fine, dopo aver dato ad essa una speranza di salvezza, ecco che la sua vera natura esce e si nutre. Un demone maggiordomo, sono anche peggio dei vampiri, per certi versi! Ed io, invece … oh, a volte penso di essere così ingordo, così avventato. Amo il sangue caldo, bagnarmi in esso le dita e le labbra, vederlo scorrere sulle mie mani, sporcarmi la pelle, ma sopra ogni cosa amo il terrore che si dipinge negli occhi delle mie vittime ogni qual volta essa sta per morire, gli ultimi aneliti, gli ultimi palpiti del suo cuore …».
Alucard alzò lo sguardo al soffitto e socchiuse gli occhi rossi, brillanti, poi emise una specie di lungo sbuffo, quasi un appassionato sospiro
«Oh, amo vedere la bellezza di una vita che muore. Ma ecco, Master, continui ancora a preferire me, seppure io sia così perversamente … ingordo?»
«Hai proprio ragione, Alucard» Integra soffiò del fumo in direzione del volto del vampiro, il quale rimase immobile, poi rise sommessamente «Si, Alucard, quello che mi piace di più di te sono le tue parole. Sei proprio un poeta …».
Alucard si inchinò, poi uscì fuori. E non appena fu fuori dalla porta fiutò l’odore di Sebastian. Credete che quel grosso nasone affilato non serva a niente, stia lì solo per ornamento? Beh, vi state sbagliando: l’asso nella manica dell’Hellsing aveva un ottimo fiuto e non ci mise che qualche millesimo di secondo per individuare la scia olfattiva del maggiordomo dei Phantomhive. Così Alucard si mise all’inseguimento, mentre Sebastian continuava a destreggiarsi come un ninja di corridoio in corridoio, cercando di raggiungere la stanza delle bare di Seras e Alucard. Peccato che nella stanza delle bare, per l’appunto, ci dormisse Seras …
«Ehi!» Gridò la Police Girl, quando Sebastian colpì il fianco della sua bara con l’intendo di distruggerlo «Qui c’è gente che sta cercando di riposare! Volete fare silenzio?».
Sebastian ebbe un trasalimento improvviso che lo fece sbiancare più di quanto non fosse già. Doveva mettere a tacere quella giovane vampira prima che avesse chiamato quello grosso! Così scoperchiò la bara e afferrò per le ascelle Seras.
La vampira stava per strillare quando Sebastian la sbattè di petto contro la parete, mozzandole il fiato e non permettendo alle sue parole di uscire. Seras si dibatté selvaggiamente, ma Sebastian rimaneva comunque troppo forte per lei e la colpì con forza alla gola, lacerandogliela: in breve le corde vocali della vampira furono inutilizzabili.
Seras riuscì a liberarsi e rimettersi in piedi, con il petto sporco di sangue e la bocca ancora spalancata di stupore e di dolore. Avrebbe voluto correre dal suo master e raccontargli tutto, anche solo scriverglielo, e fargliela pagare a quel mostro del maggiordomo dei Phantomhive, ma Sebastian le si scagliò contro, si abbassò repentinamente e le ruppe le ginocchia con una spallata.
Il rumore delle ossa che si spezzavano fu come quello di un grosso ramo che si rompe sotto i piedi e Seras non capì da dove quel suono provenisse finché, d’improvviso, non si accasciò al suolo. Non aveva voce per urlare, non aveva piedi per correre, e vedeva di fronte a se la figura alta e magra del maggiordomo che sogghignava in quel modo orrendo, senza mostrare i denti.
Sebastian si diresse tranquillo verso la bara di Alucard, con il chiaro intento di distruggerla. Il vampiro in rosso aveva detto di non essere materialista, che non gli importava se distruggevano la sua bara … ma bene, Sebastian voleva ben vedere quale sarebbe stata la sua reazione sapendo di non avere più un posto dove riposare durante le ore diurne.
Il maggiordomo dei Phantomhive si rimboccò le maniche immacolate: non voleva lasciare una sola scheggia di legno di quella che ora era una gigantesca bara nera e lucida di fronte a lui.
Lesse le parole sul coperchio:
The bird of Hermes is my name
Eating my wings to make me tame.
Scosse la testa, poi mormorò sottovoce
«Ebbene, uccellino di Ermes, sto per distruggere il tuo nido …»
Seras spalancò gli occhi, ma non si mosse dal punto in cui si era accasciata. Persino lei, che era una Police Girl così stupida, capiva che non sarebbe servito proprio a niente contorcersi in preda al dolore.
Sebastian, sogghignando in quel suo modo che molti definirebbero “delicato” ma Seras definiva ormai “disgustoso”, Sebastian fece scrocchiare le esili dita.
Il primo colpo che il maggiordomo inferse al lungo oggetto nero e lucido, fu una manata come quelle dei praticatori di karate contro i mattoni per romperli in due. La bara né risenti molto e bhè … diciamo che fece la stessa fine del mattone …
Crac.
Le prime schegge volarono tutt’intorno. Seras guardò malinconicamente un piccolo pezzo di legno, simile a un ago, che era atterrato a un soffio dalla sua gamba.
Sebastian, continuò serio, imperterrito, nel suo compito di sabotatore, mentre la stanza delle bare si riempiva di suoni secchi e duri.
Dapprima, come una specie di sottofondo, si sentì un continuo ticchettio.
Tic tic tic tic.
Poi, il ticchettio fu sempre più potente, risuonava fastidioso come un enorme sciame di ratti che attraversano le strade. L’aria veniva pervasa da un qualcosa, un qualcosa di strano. Un qualcosa di simile alla paura.
Sebastian, suo malgrado, si sentì obbligato a smettere e si guardò intorno.
Era circondato da un mucchio di animali dalla forma stretta e allungata, muniti di molte zampe, probabilmente le artefici del suono. Il colore era indistinguibile, perché tutt’intorno sembrava che il mondo avesse preso il nero che conteneva e lo avesse convogliato lì, in quella stanza, sottoforma di oscurità, con una sfumatura di rosso che colorava inquietantemente l’atmosfera.
Qualcosa danzava intorno, no, non danzava, si muoveva come un predatore…
“Tu …”
Paura, no, non paura, non era paura, terrore …
“Adesso …”
Il cuore … il cuore danzava con quello, con quelle cose …
“Morirai …”
Sebastian spalancò gli occhi, e si guardò intorno. Stavolta non passò il suo sguardo semplicemente, guardò davvero.
Vedeva nero, nero fino a dove arrivava il suo sguardo, nero come la pece, senza fine, nero come la morte e poi …
“Si, tu morirai …”
Quel rosso che donava colore, sembravano fiamme, il fuoco dell’inferno, e l’inferno era venuto a reclamarlo di nuovo. Involontariamente si rannicchiò, spiandosi intorno come un bambino spaventato.
“E non puoi farci niente”
Sebastian, nonostante fosse un demone, tremò.
“Ehi, gattino … che ne dici di venire a divertirti?”
«No!» Sebastian cercò l’uscita, ma non vide che nero a perdita d’occhio.
“Io sono … il cane. Sei pronto?”
«No, non sono pronto» disse chiudendo gli occhi e alzandosi, allontanandosi dalla bara che aveva comunque ricevuto seri danni a causa della forza del demone.
E Alucard finalmente comparve. Splendido e orribile, si ergeva di fronte a Sebastian. Non somigliava a niente che il maggiordomo avesse mai visto, nulla di umano, nulla di possibile.
Secondo il patto di Cromwell, elimino le restrizioni, lascio che il potere fluisca …
Il vampiro era stranamente più alto, ormai toccava il soffitto con la testa. E la parte inferiore del suo corpo … oddio, che cosa gli era successo? Laddove avrebbero dovuto esserci le gambe si allungava quella che sembrava una massa solida di tenebre intorno alla quale vorticava una nebbia scura e densa, inframmezzata di decine e decine di puntini rossi che … che sembravano proprio iridi dalle pupille ristrette.
Solo il busto sporgeva dall’oscurità lucente, i capelli neri che si scioglievano sulla schiena, i muscoli delle spalle in rilievo sotto il tessuto nero della camicia, incurvato verso Sebastian. I grossi denti affilati e ferini del vampiro erano scoperti in un ringhio vero, selvaggio, gli occhi erano spalancati e brillavano.
Alucard parlò e quando lo fece fu come se la sua voce risalisse dalle profondità stesse dell’inferno
«Tu …»
Sebastian indietreggio, schiacciandosi con le spalle contro la parete e tastando dietro di se alla ricerca di una qualsiasi arma da utilizzare
« … Hai … »
Il demone maggiordomo aprì la bocca per dire qualcosa ma si accorse di non sapere esattamente cosa volesse dire. Poteva forse discolparsi per quello che aveva fatto? Poteva dire “sei stato prima tu”? Il mostro non avrebbe capito.
« … Distrutto la mia …».
Seras sorrise anche nella dolorante agonia: il suo master era splendido quando faceva così, era una di quelle cose che la faceva sentire emozionata e, cosa rara per un vampiro, spaventata. Eppure era un timore così trascendentale, un’emozione così forte, che le faceva quasi bene …
« ... Bara!».
Alucard si slanciò verso Sebastian. Ciò che accadde in seguito non poté essere filmato dalle telecamere: i loro obbiettivi erano offuscati di tenebre e di sangue.